Intervista a Riccardo Zanotti, leader e cantante della band del momento.
Partiamo dalle origini: come nascono i Pinguini Tattici Nucleari?
"Beh, probabilmente come sono nate tante altre band. Eravamo un gruppo di amici, che un giorno ha deciso di provare a fare quest'esperienza. All'inizio tutto è partito per gioco, per divertimento: salivamo sul palco senza neanche sapere le canzoni che avremmo suonato davanti al pubblico, questo per darti l'idea di quanto fosse per noi, appunto, solo un gioco. Con il tempo è diventata una cosa sempre più seria, anche se non eravamo minimamente preparati: infatti, eccetto me, tutti gli altri componenti avevano fatto studi diversi rispetto alla musica, ed è così, un po' per caso direi, che sono nati i Pinguini Tattici Nucleari."
A cosa si deve il nome della band?
"Il perché di questo nome è un segreto che non posso dire, altrimenti il nostro manager Gianrico me la fa pagare cara!"
Neanche un piccolo indizio?
"Neanche questo purtroppo, mi dispiace. Posso solo dirti che il pinguino è il nostro animale guida e infatti è un elemento molto ricorrente anche nei nostri live: dal pupazzo che sale ad un certo punto dei nostri concerti sul palco fino ai visual, è una presenza davvero costante. Scusami davvero, ma è un segreto che proprio non posso rivelare."
Dal vostro album di esordio "Il re è nudo" (2014), passando per "Gioventù bruciata" (2017), fino ad arrivare ad oggi, con il vostro ultimo lavoro, "Fuori dall'Hype", come sono cambiati i Pinguini Tattici Nucleari?
"Ma guarda, come ti dicevo prima, giorno dopo giorno ci siamo resi conto che stava diventando un lavoro vero e chiaramente la vita ti cambia, si sconvolge. Gli equilibri e le relazioni che hai con un lavoro "normale" vengono completamente stravolti. Con un lavoro come questo, non riesci più ad avere un orario normale in cui mangi e in cui vai a letto, di conseguenza anche il tuo rapporto con ciò che hai muta, inevitabilmente. Io sono diventato una persona molto più paziente: ad esempio mi sono molto abituato ai viaggi lunghi, rispetto ai quali prima non lo ero affatto. Mi ricordo che quando abbiamo iniziato ad andare a Torino da Bergamo, mi sembrava che ci volesse tantissimo tempo; poi ho iniziato a vedere il tempo con una prospettiva diversa, proprio grazie a questo lavoro e quella distanza, rispetto ad altre tratte che percorriamo oggi, mi sembra davvero molto breve. Nel nostro caso però devo precisare che se tante cose sono cambiate, altre non lo sono affatto. Per esempio, lo spirito con cui ci approcciamo ai concerti è ancora quello dell'inizio: suoniamo semplicemente per il gusto di farlo e per divertirsi, cercando ogni volta di dare il meglio di noi."
Qual è stato il punto di svolta della vostra carriera?
"Direi che ce ne sono stati tanti, come spesso succede se una carriera può essere definita "sana". Ci sono infatti tanti step, è difficile che ce ne sia uno soltanto: pensa che, in inglese, esiste un termine coniato appositamente per definire tutte quelle band che dopo aver fatto una sola canzone spariscono dalla circolazione: le band in questione vengono definite "one hit wonder", ed è in questo caso che si può parlare di un solo punto di svolta. Le cose nel nostro caso fortunatamente sono diverse: abbiamo macinato palco dopo palco, abbiamo scritto tante canzoni, segno di un lavoro graduale, costante e progressivo. Posso forse identificarti un punto di svolta che sia stato più "forte" degli altri: questo coincide con la scrittura di una nostra canzone, ossia “Irene”, che per prima ci ha fatto rendere conto di quella che sarebbe stata la nostra nuova vita di musicisti."
Veniamo dunque al vostro ultimo album, "Fuori dall'Hype": come nasce questo lavoro e che cosa rappresenta per voi?
"Nasce tra una data e un ritorno a casa in furgone, nel senso che è nato on the road, mentre eravamo in giro per fare concerti. Abbiamo pensato molto al nome dell'album, e penso che ne abbiamo trovato uno davvero appropriato per noi. Volevamo dargli un titolo che ci permettesse di collocarci fuori da un certo modo di intendere la musica, che è appunto quello dell'hype, nel senso che il percorso di carriera che vogliamo per noi stessi non è qualcosa che finisce senza nemmeno aver avuto il tempo di cominciare: vogliamo qualcosa che sia più graduale, proprio come ti ho accennato prima. Non vogliamo essere una "one hit wonder" per intendersi."
Avete all'attivo 20 milioni di streaming e oltre 7 milioni di visualizzazioni su YouTube e "Fuori dall'Hype" ha già superato il milione di ascolti su Spotify: quanto ha influito sul vostro successo la possibilità di fruire attraverso queste piattaforme della musica?
"Tanto, tantissimo, come succede per quasi tutte le band di oggi! Non dimenticherei, oltre agli strumenti a cui hai accennato tu, i social media, che a mio avviso rivestono un ruolo molto importante. Se Spotify e YouTube permettono di fruire come mai prima di un prodotto finito, che è appunto la canzone, i social media, indipendentemente da quali essi siano, permettono di dare visibilità e fare luce su tutto quello che è il processo che porta alla scrittura di una canzone piuttosto che di un album: dalla sala prove alle ore di registrazione in studio, passando per altri grandi e piccoli aneddoti legati alle fasi di pre-pubblicazione, si ha modo di costruire una narrazione, di raccontare la storia che sta dietro un particolare processo creativo. Tutto questo ha la forza di far avvicinare e magari appassionare le persone al tuo lavoro: ci piace l'idea di dare visibilità a tutti gli sforzi che sottendono ai nostri lavori."
Quali saranno, dopo la fine del tour, i vostri progetti?
"Sicuramente ci riposeremo molto. Personalmente mi dedicherò molto alla mia famiglia e al mio cane e magari nel tempo libero, perché no, comincerò a lavorare al prossimo album."
Foto di Andrea Nigi.
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